31/12/2015
Manifesto del partito comunista (K.Marx – F.Engels)
Questa è l’occasione per quelli che mi dicono che politicamente sono un nostalgico di ripetermi la frase. La lettura del testo di Marx e Engels travalica però questo aspetto e dobbiamo considerarlo un approfondimento filosofico-sociale su quella che è la società e il processo storico del suo divenire. Innanzitutto il Manifesto va calato nella situazione sociale e politica del periodo in cui è stato redatto: siamo nella metà del 1800 e in Europa la condizione degli operai è quella di “strumenti di lavoro”, come li definiscono Burke e Sieyes, mentre in America si combatteva per gli schiavi negri e nelle colonie la schiavitù verso gli indigeni era “mascherata” dalla sudditanza commerciale. Il testo quindi necessariamente prende in considerazione questi aspetti e sarebbe errato definirlo moderno o arretrato, così come faremo con Platone, Hegel, Machiavelli ed altri. Importanti sono però alcune considerazione che se ne possono trarre, come la lotta proletaria che deve avere come scopo non solo il miglioramento delle condizioni materiali e salariali, ma soprattutto quello della dignità dell’operaio. Sebbene con i termini del periodo si affronta il problema dell’economia globale, allora legata al colonialismo, e si auspica altresì la costituzione di società che condividendo gli stessi ideali e le stesse regole morali superino il concetto di nazione, una visione simile a quella che nello stesso periodo Mazzini proponeva con la “Giovine Europa”. Basilari però, e ancora attuali, rimangono le caratteristiche dell’allora borghesia, che oggi chiameremo classe dirigente e benestante, sia essa politica, industriale ed economica, dove ognuno punta erroneamente al proprio bene personale e dove la concentrazione della ricchezza rimane nelle mani di una piccola percentuale, allora era il 10%, di tutta la popolazione mondiale, al punto che gli stessi autori affermano che la proprietà privata non potrà essere tolta alle masse, visto che non ne dispongono. C’è però una lacuna nelle indicazioni del Manifesto, i due filosofi, dopo la rivoluzione che dovrà potare alla caduta della borghesia, non riescono a spiegare come si dovrà attuare il passaggio allo “stato superiore”, di modo che il rischio è che la nuova classe dirigente proletaria sia soltanto la sostituzione di quella precedente, magari con difetti analoghi come poi è accaduto, e non si raggiunga la società solidale e paritetica auspicata.
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