30/05/2017
Il Ritorno dei Mille (G. Bonfiglioli)
E’ un caso che abbia letto il libro questi giorni, proprio quelli (dal 27 al 30 maggio) in cui ebbe luogo, nel 1860, la rivolta di Palermo contro il regno borbonico. L’argomento di cui tratta il libro è questo evento, anzi più precisamente, la commemorazione che Palermo ne volle fare, 25 anni dopo, alla presenza dei reduci Garibaldini. Un breve riassunto: i Mille dopo lo sbarco a Marsala, ottenute le prime vittorie, parteciparono a fianco del popolo palermitano alle 4 giornate che liberarono la città siciliana dai Borbone e diedero avvio a quella che sarebbe divenuta “l’Unità d’Italia”. Nel 1885 la città di Palermo organizzò un’imponente commemorazione dei moti del ‘60, chiamando a raccolta tutte le “camice rosse” ancora in vita per ringraziarle, onorarle e sublimare quell’eroica impresa. Il testo di Bonfiglioli è un’interessante raccolta di documenti, comunicati, articoli e foto che riguardano soprattutto l’evento del 1885 e in parte minore le giornate del 1860. Nel materiale sono presenti anche documenti pressoché inediti, che hanno spinto l’autore a riportare alla memoria questo “ritorno” dei Mille a Palermo: un episodio dimenticato e quasi sconosciuto. Quello che però stimola il lettore è un altro aspetto: sono le considerazioni che possiamo fare su Garibaldi e i “suoi” Mille. Questi mille uomini, o poco più, per la maggior parte gente comune, non avvezza al combattimento, decide di partire per andare a liberare e unificare l’Italia! Non hanno armi, non hanno divise, per rifornirsi di ciò che necessita per il viaggio sono costretti a fare uno scalo imprevisto proprio presso i nostri porti. La razionalità gli concede solo due prospettive: essere affondati dalle navi borboniche durante il viaggio o essere sterminati dal regio esercito appena arrivati in Sicilia. Sono quindi votati alla morte, ma dalla loro hanno un postulato che li rende invincibili: non sono un esercito, rappresentano un popolo! Perché dico questo? Perché a causa del nostro italico atteggiamento, i Garibaldini, subito dopo l’impresa sono stati indicati come sovversivi e successivamente sono stati dimenticati, per essere poi oggetto di un revisionismo storico, che invece di considerarli eroi, è andato a cercare interessi e malefatte recondite (anche questo vizio italico), capovolgendo come sempre la realtà e come tutt’ora accade, relegando i martiri e le vittime a colpevoli e innalzando agli allori del pubblico i criminali. Sono quasi certo che in qualsiasi altra Nazione un’impresa del genere sarebbe divenuta un’epica pagina di storia, ma lo sappiamo, oltreconfine un sasso diventa un monumento, intorno ad un banale oggetto si costruisce un museo, uno scarabocchio è gestito come un’opera d’arte…. da noi, i milioni di quadri, statue, affreschi, monumenti, siti archeologici, edifici storici e quant’altro, che potrebbero farci guadagnare milioni di euro e produrre lavoro se fossero giustamente gestiti, sono abbandonati a loro stessi o sottovalutati. Tornando all’argomento “camice rosse” e ripensando a quei tempi, ci è difficile comprendere lo spirito che animava loro e tutti i martiri e patrioti che hanno combattuto e sono morti durante quel periodo. Domenica guardando la premiazione del gran premio di formula uno e vedendo la squadra Ferrari cantare “Fratelli d’Italia”, mi sono chiesto se gli Italiani che sentono o cantano quest’Inno, riescono ad andare oltre lo spettacolo musicale e si rendono conto, nell’animo, che queste cinque strofe (che peraltro nessuno conosce per intero) sono state scritte non con l’inchiostro, ma con il sangue di chi ha dato la vita, tra questi lo stesso autore del testo, per la libertà e l’unità della Nazione. Tutto questo però è ormai obsoleto, mi rendo conto che i valori morali adesso sono altri, ma vorrei sapere quanti parlamentari di oggi, il cui compito è di fare il “bene” dello Stato e della Nazione, sarebbero pronti a dare la loro vita se questo “bene” lo richiedesse, o se invece sono capaci soltanto di fermarsi all’altra parola con la stessa radice: vitalizio! Rimane però il fatto che non abbiamo reso il merito dovuto ai Garibaldini e alla loro impresa, nonostante tutti i difetti e le diverse valutazioni riscontrabili sul loro operato, prima tra tutte la scelta del Generale di appellare Vittorio Emanuele quale Re d’Italia, anche in disaccordo con Mazzini. Tra due giorni festeggiamo il 2 giugno, la Festa della Repubblica, e non sarebbe fuori luogo che qualcuno ricordasse Garibaldi e i Mille, iniziatori di quel percorso che ha reso la nostra Nazione una Repubblica Unita.
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13/11/2016
I Mille (G. Garibaldi)
L’opera scritta dall’Eroe dei due Mondi racconta le gesta della spedizione dei Mille, ma non si ferma, com’è nell’intento dell’autore, ad un mero diario cronologico. Garibaldi, infatti, cerca di mostrarci lo spirito con cui l’impresa fu compiuta e l’atteggiamento della popolazione all’arrivo o al passaggio dei Mille. Forte è la sua ostilità nei confronti del clero, che ritiene sobillatore, millantatore e despota nei confronti della gente, e verso la nuova classe dirigente dell’Italia libera. Secondo il Generale le speranze e le ambizioni di chi ha lottato e di chi è morto per rendere la Penisola libera sono andate disilluse. I nuovi governanti a suo parere si sono soltanto sostituti ai precedenti, seguendo le stesse mire personali a dispetto della libertà e della dignità della popolazione: l’unica differenza è la nazionalità, prima stranieri, ora anch’essi italiani. Molte sono le assonanze e gli atteggiamenti dei governanti dell’epoca che possono essere attribuite ai governanti di oggi: dopo 150 anni non è cambiato molto, almeno nei fatti, e anche la speranza di Garibaldi che nel futuro i veri ideali di chi aveva lottato per rendere libera l’Italia potessero trovare concretezza è stata disattesa. Quanti di coloro che governano oggi la nostra Nazione darebbero la vita per la Patria così come fece chi ha combattuto il Risorgimento e la Resistenza! Molte sono le lodi da parte di Garibaldi verso chi compì atti d’eroismo, sia durante la spedizione sia in altre occasioni, così come è giustificabile per l’autore, l’atteggiamento del popolo, che plagiato, spesso si trovava ad ostacolare i Mille.
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21/01/2016
Dannati (G. Cooper)
C’era una volta una bella principessa che finì nel regno dei cattivi; il suo principe azzurro corse a salvarla; sconfisse i cattivi e la riportò al suo castello; ma non vissero felici e contenti… questa in sintesi la storia e l’unico aspetto che la rende diversa dalla favola è il finale. Vero che la principessa è un fisico di particelle subatomiche, il principe un “berretto verde”, il regno dei cattivi l’inferno e il loro castello un laboratorio sotterraneo con un acceleratore di particelle, ma tutto questo serve soltanto a rendere ricco d’azione il romanzo. Nell’Oltre, l’inferno parallelo alla terra in cui dopo la morte finiscono tutti coloro che hanno commesso delle nefandezze, l’azione non manca e John e Emily ne sono i protagonisti. I personaggi più crudeli di tutti i tempi governano questo mondo, fotocopia geografica della terra, e i due protagonisti sono costretti a sfidarli, assecondarli e sconfiggerli per tornare nel nostro mondo: lei finita là per un accesso spazio-tempo creatosi per caso, lui arrivatoci per cercarla e salvarla. Un romanzo di fantasia, in cui l’autore tenta comunque di differenziare la presenza all’inferno di coloro che sono stati cattivi in vita (Himmler, Borgia…) e continuano ad esserlo dopo la morte, e coloro che sono invece finiti in quel luogo per aver commesso delitti per un atto d’ira o in conseguenza alle circostanze (Garibaldi, Caravaggio…) e dopo la morte combattono invece il male e cercano di portare speranza in quel luogo senza tempo. E’ un romanzo che non deve necessariamente apparire nella nostra libreria e il cui finale presuppone i capitoli successivi.
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